Cavalla rubata e macellata: il furto aggravato concorre con l’uccisione di animali

Una ennesima conferma che il reato di uccisione di animali può riguardare qualsiasi animale, anche quelli “destinati” al consumo alimentare.
Avv. Annalisa Gasparre

Avv. Annalisa Gasparre

Avvocato, dottore di ricerca, vanta una decennale esperienza nel settore della tutela degli animali e dei soggetti deboli. Sito internet

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Il Tribunale di Pesaro condannava l’imputato per il reato di furto aggravato di una cavalla nonché per uccisione di animali, per avere macellato l’animale con crudeltà e per violazione del d.lgs. 333/98, art. 5, comma 1, lett. c) per aver abbattuto l’animale senza provvedere al preventivo stordimento.

L’istruttoria dibattimentale consentiva di accertare che l’imputato, dopo aver reciso il filo spinato che delimitava il recinto, prelevava la cavalla e la trasportava all’interno di un furgone che aveva preso in prestito, uccidendola (a scopo alimentare) e disperdendone i resti in campagna, sotto un ponte.

Sollecitata dal ricorrente, la Corte di cassazione si sofferma sul profilo dell’aggravante prevista dall’art. 625 c.p., n. 8. Due sono le ipotesi previste dalla disposizione: il furto diretto alla sottrazione di bestiame raccolto in gregge o in mandria, nel qual caso l’aggravante deve ritenersi integrata solo ove il furto abbia riguardato almeno tre capi di bestiame; il furto avente ad oggetto animali bovini o equini, nel qual caso l’aggravante sussiste anche quando sia stato sottratto un solo animale. Nel caso di specie, dunque, la aggravante è certamente configurabile.

La Corte motiva che detta interpretazione «nasce dalla stessa formulazione letterale della norma (secondo la quale il furto è aggravato “se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria”) e trova logico riscontro nella considerazione che, se anche per i capi bovini ed equini l’aggravante in questione dovesse ritenersi integrata nei casi di furti di almeno tre capi, detta distinzione non avrebbe avuto senso alcuno». Secondo la Corte, «la verità è che la norma intende punire più gravemente il furto di animali di piccolo o medio taglio solo se riguardi la sottrazione di tre o più capi, mentre, nel caso di bovini ed equini, animali di maggior pregio e valore, è sufficiente che il furto riguardi un solo capo».

I giudici di merito hanno ritenuto di qualificare in termini di “crudeltà” l’uccisione della cavalla dal fatto che «questa è avvenuta in luoghi non a ciò deputati e senza l’utilizzo degli strumenti che evitano all’animale inutili sofferenze. Il mancato rispetto della normativa posta in materia di uccisione e macellazione di animali e, in particolare, il mancato utilizzo degli accorgimenti, di cui sono in possesso le strutture di macellazione autorizzate, idonei ad evitare l’inflizione di gravi patimenti all’animale, è stato dai giudici legittimamente ritenuto elemento significativo in termini d’accusa, in quanto espressione di crudeltà».

In mancanza di prove nel senso dell’utilizzo di strumenti capaci di evitare le sofferenze all’animale, è logico dedurre che «all’illecito impossessamento dell’animale ed alla clandestinità della uccisione si siano accompagnate crudeli modalità di esecuzione della stessa, peraltro giustamente ritenute confermate dallo stesso spargimento delle interiora sul luogo della macellazione».

La sentenza conferma l’orientamento, del tutto pacifico, secondo cui il reato di uccisione di animali (art. 544 bis c.p.) può riguardare qualsiasi animale, anche quelli “destinati” al consumo alimentare (sul tema, Gasparre, Quando macellare un animale è un crimine (anche per lo Stato), Diritto all’Ambiente, 30 aprile 2012). Con specifico riferimento ai cavalli, Gasparre, Cavalli carne da macello. La condanna del tribunale di Varese, in Persona&Danno, 21.2.2014 nonché Boscolo Contadin, La tutela giuridica degli animali e il loro valore come categoria protetta, Key editore. Diffusamente e con ampia casistica, volendo, Gasparre, Diritti degli animali. Antologia di casi giudiziari oltre la lente dei mass media, Key editore.

Cass. pen., sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2015) 28-07-2015, n. 33325 – Pres. Zecca, Rel. Foti

B.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, del 4 ottobre 2013, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro, del 12 dicembre 2009, che lo ha ritenuto colpevole del reato di furto di una cavalla (art. 624 c.p., 625 c.p., n. 8), di proprietà di G.R., nonchè dei reati previsti dall’art. 544 bis cod. pen., per avere macellato l’animale con crudeltà, e dal D.Lgs. n. 333 del 1998, art. 5, comma 1, lett. c) per avere abbattuto l’animale senza provvedere al preventivo stordimento dello stesso.

I giudici del merito hanno tratto la prova della responsabilità dell’imputato dalle dichiarazioni dei testi: S.L. e Br.Lu. e dai risultati dell’attività investigativa svolta, grazie alla quale personale di PG ha anche individuato il luogo ove si trovavano i resti dell’animale, essendo stati, peraltro, guidati sul posto dallo stesso imputato.

Avverso detta sentenza ricorre, dunque, il B., che deduce: 1) Violazione di legge in punto di mancata declaratoria d’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal personale di PG, che aveva riferito quanto appreso dall’imputato, sentito senza le garanzie di legge; 2) Inesistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 cod. pen., n. 8 essendosi trattato, nel caso di specie, del furto di un solo animale, non di tre; 3) Vizio di motivazione in punto di sussistenza del reato di cui all’art. 544 bis cod. pen., non essendovi prova di una condotta dell’imputato caratterizzata da crudeltà; 4) Erronea applicazione della legge, specificamente del D.Lgs. n. 333 del 1998, art. 5 atteso che detta norma riguarda l’uccisione di animali a scopo di macellazione o di profilassi, finalità estranee al caso in esame, e che la violazione della stessa è punita solo con sanzione amministrativa e solo allorchè non costituisca reato (nel caso di specie, quello previsto dall’art. 544 bis cod. pen.).

Il ricorso è infondato. -1- Inesistente è il vizio di violazione di legge dedotto con il primo dei motivi proposti. In realtà, il giudice del gravame ha osservato, rispondendo ad identica censura mossa dall’imputato con i motivi d’appello, che la responsabilità di costui emergeva da elementi probatori certi e non contestati nella loro valenza probatoria, individuati nelle testimonianze rese da S.L. e da Br.Lu., ampiamente riportate nella sentenza di primo grado. Il primo, ha ricordato lo stesso giudice, aveva dichiarato di avere notato, la sera dell’8 dicembre 2007, un furgone ____, targato (OMISSIS), percorrere la strada sterrata che conduce all’abitazione di G.R., proprietario dell’animale rubato. Dall’interno del veicolo il teste aveva udito provenire dei colpi simili ai calci di un cavallo; insospettito, aveva annotato il numero della targa ed aveva informato il G.; recatosi, poi, nei pressi dell’abitazione di costui, egli aveva notato che il filo spinato che delimitava il recinto era stato tagliato e che il cavallo era stato rubato. Il Br., al quale gli inquirenti erano risaliti attraverso il numero di targa del furgone, aveva riferito di avere consegnato detto veicolo (“___” targato (OMISSIS)) verso le ore 16 di sabato (OMISSIS), giorno del furto, al B., che glielo aveva richiesto. Il giorno successivo, ha soggiunto il teste, alla riconsegna del furgone, egli, avendo notato all’interno del veicolo del sangue, aveva chiesto spiegazioni al B., il quale si era giustificato sostenendo che “il cavallo si dimenava e sbatteva all’interno del veicolo”.

E’, dunque, dalle dichiarazioni dei predetti testi e dall’accettata presenza di sangue nel furgone notato dallo S. nelle richiamate circostanze che i giudici hanno ritenuto di rinvenir prova della responsabilità dell’imputato. Il quale, peraltro, non risulta avere negato di avere avuto la disponibilità del predetto furgone il giorno del furto, nè di essersi trovato a transitare sulla strada sterrata che conduce all’abitazione del G., nè di avere indicato i motivi per i quali aveva chiesto in uso detto veicolo. Al contrario, egli stesso ha riferito al Br. che tale furgone egli aveva utilizzato per il trasporto di un cavallo che, ha soggiunto, “si dimenava e sbatteva all’interno del veicolo”. Frase dalla quale, evidentemente, i giudici del merito hanno ritenuto di trovare conferma della individuazione dell’odierno ricorrente quale autore del furto e dell’uccisione del cavallo.

E’ poi vero che nella sentenza impugnata è stato fatto riferimento anche alla deposizione dell’ispettore Be., il quale ha riferito di essere stato accompagnato sul luogo ove si trovavano i resti del cavallo proprio dall’imputato, che aveva reso in proposito spontanee dichiarazioni. E tuttavia, tale riferimento, che il ricorrente denuncia come inutilizzabile per essere emerso dalle dichiarazioni del teste ricevute dall’imputato senza le garanzie di legge, si presenta, oltre che residuale ed irrilevante ai fini dell’affermazione della responsabilità del B., – e dunque per nulla utile in tesi difensiva, a fronte dei chiari, gravi e non contestati elementi probatori indicati dai giudici del merito – anche legittimo. In realtà, come ha già correttamente osservato la corte d’appello, il riferimento alla testimonianza del Be. non ha riguardato affermazioni confessorie o in qualche modo compromettenti per l’odierno ricorrente, ma solo la ricostruzione delle modalità attraverso le quali sono stati rinvenuti i resti dell’animale e la descrizione dei luoghi ove il furto era stato consumato.

Deposizione in tali termini giustamente ritenuta utilizzabile, anche alla luce dei principi affermati in proposito da questa Corte, pure richiamati nella sentenza impugnata. In un caso molto simile a quello oggi in esame, invero, nel quale l’indagato aveva accompagnato gli agenti sul luogo ove erano sotterrate delle armi ed aveva indicato il luogo ove si sarebbe dovuto scavare e dove poi le armi erano state rinvenute, è stato condivisibilmente affermato che “Il divieto di utilizzare in sede dibattimentale le dichiarazioni spontanee della persona sottoposta ad indagine non concerne il caso in cui sussistano fatti storicamente rilevanti, condotte oggettivamente descrivibili – tenute dall’indagato alla presenza di agenti di polizia giudiziaria – le quali ben possono essere descritte dagli operanti in sede dibattimentale con conseguente utilizzazione in detta sede del risultato di tali indagini”(Cass. n. 7127 del 1.12.11 rv 251947).

-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si sostiene che il furto di un solo capo equino o bovino non basterebbe a ritenere integrata l’aggravante prevista dall’art. 625 c.p., n. 8, per la quale sarebbe sempre necessario, anche nel caso di furti di animali bovini o equini, la sottrazione di almeno tre capi. Giustamente, invero, la corte territoriale ha ritenuto sussistente detta aggravante, essendo stato oggetto del furto un capo equino.

La norma in questione, invero, distingue, ai fini della sussistenza dell’aggravante due diverse ipotesi di furto di animali: a) quello diretto alla sottrazione di bestiame raccolto in gregge o in mandria, nel qual caso l’aggravante deve ritenersi integrata solo ove il furto abbia riguardato almeno tre capi di bestiame; b) quello avente ad oggetto animali bovini o equini, nel qual caso l’aggravante sussiste anche quando sia stato sottratto un solo animale. Nel caso di specie, essendo stato rubato un cavallo, correttamente è stata ritenuta sussistente l’aggravante in questione. Tale interpretazione nasce dalla stessa formulazione letterale della norma (secondo la quale il furto è aggravato “se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria”) e trova logico riscontro nella considerazione che, se anche per i capi bovini ed equini l’aggravante in questione dovesse ritenersi integrata nei casi di furti di almeno tre capi, detta distinzione non avrebbe avuto senso alcuno. La verità è che la norma intende punire più gravemente il furto di animali di piccolo o medio taglio solo se riguardi la sottrazione di tre o più capi, mentre, nel caso di bovini ed equini, animali di maggior pregio e valore, è sufficiente che il furto riguardi un solo capo.

-3- Inesistente è anche il vizio motivazionale dedotto con il terzo motivo di ricorso, che impropriamente richiama anche il vizio di erronea applicazione della legge penale, con riguardo alla sussistenza del reato di cui all’art. 544 bis cod. pen., negata dal ricorrente essendo rimaste ignote le modalità con le quali l’animale è stato ucciso.

In realtà, gli argomenti utilizzati dalla corte territoriale per qualificare la condotta dell’imputato in termini di “crudeltà”, come intesi dall’art. 544 bis cod. pen., non giustificano alcuna delle contrarie considerazioni svolte nel ricorso. Detta corte, invero, ha legittimamente ritenuto di qualificare come “crudele” l’uccisione della cavalla dal fatto, che non risulta essere stato mai smentito dall’imputato, che questa è avvenuta in luoghi non a ciò deputati e senza l’utilizzo degli strumenti che evitano all’animale inutili sofferenze. Il mancato rispetto della normativa posta in materia di uccisione e macellazione di animali e, in particolare, il mancato utilizzo degli accorgimenti, di cui sono in possesso le strutture di macellazione autorizzate, idonei ad evitare l’inflizione di gravi patimenti all’animale, è stato dai giudici legittimamente ritenuto elemento significativo in termini d’accusa, in quanto espressione di crudeltà.Giustamente d’altra parte, a riprova delle crudeli modalità di uccisione dell’animale, è stato ricordato che i resti dello stesso sono stati rinvenuti in località sita in aperta campagna, sotto un ponte; luogo che è stato legittimamente ritenuto come il posto ove erano avvenute l’uccisione e lo smembramento dell’animale. Lo stesso imputato, peraltro, non risulta avere mai sostenuto di avere proceduto all’uccisione della cavalla solo dopo avere utilizzato strumenti capaci di evitarne le sofferenze nè di avere una qualche pratica in tali faccende, donde la logica conclusione che all’illecito impossessamento dell’animale ed alla clandestinità della uccisione si siano accompagnate crudeli modalità di esecuzione della stessa, peraltro giustamente ritenute confermate dallo stesso spargimento delle interiora sul luogo della macellazione. L’iter argomentativo svolto dai giudici del gravame non presenta alcuna incoerenza nè contraddittorietà, di guisa che certamente infondate sono le censure proposte, peraltro chiaramente dirette, anche attraverso la prospettazione del vizio di violazione di legge, a proporre una diversa lettura degli elementi probatori acquisiti e coerentemente valutati dai giudici del merito.

-4- Infondato è, infine, anche il quarto motivo di ricorso, concernente il fatto contestato sub capo d) della rubrica (violazione del D.Lgs. n. 333 del 1998, art. 5). In realtà, anche a non voler considerare che, con riguardo a tale contestazione, non risulta svolta alcuna censura con i motivi d’appello, osserva la Corte che il primo giudice, al quale occorre fare riferimento, avendone la sentenza impugnata confermata ogni decisione, pur avendo fatto riferimento al fatto che l’abbattimento dell’animale era avvenuto senza il previo stordimento dello stesso, ha tuttavia inquadrato la violazione di tale norma, per la quale, ha anche specificato, è prevista solo una sanzione amministrativa, nell’ambito della fattispecie criminosa prevista sub art. 544 bis cod. pen., di guisa che le diffuse considerazioni svolte in proposito nel ricorso si presentano prive di concreto rilievo. Per tale violazione, d’altra parte, non è stata inflitta sanzione alcuna, per cui evidente appare anche l’assoluta carenza d’interesse del ricorrente a coltivare tale motivo di ricorso.

Questo deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

p.q.m

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015. Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2015

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