Il cane è più intelligente del gatto?

Roberto Marchesini

Roberto Marchesini

Filosofo, etologo, zooantropologo, saggista e fondatore di SIUA – Istituto di formazione zooantropologica.

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Cinquecentotrenta milioni, il cane. Duecentocinquanta milioni, il gatto: si tratta del numero di neuroni corticali presenti in queste due specie.
Un dato che ha portato i ricercatori della Vanderbilt University di Nashville (Tennessee, USA) ad affermare che il cane sia più intelligente del gatto nel loro studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Neuroanatomy.
La corteccia cerebrale è considerata la struttura più evoluta, costituendo una struttura fondamentale per tutte quelle funzioni mentali cognitive complesse come il pensiero, il linguaggio, la memoria, la consapevolezza.

Ovviamente questo esito ha scatenato gioie e delusioni tra i sostenitori dei cani e i follower dei gatti, ma ha un senso dire che una specie è più intelligente di un’altra?

Io nutro qualche dubbio rispetto alla ricerca in questione, poiché si tratta di censimenti che non sono mai così precisi e attendibili rispetto ai dati reali. Per questo motivo, sarei cauto a emettere sentenze e attenderei la pubblicazione di altri studi sull’argomento.

Mi trova invece concorde la neuro-scienziata Suzana Herculano-Houzel (una delle ricercatrici che hanno contribuito allo studio) nel dire che le ricerche che vengono svolte nell’analisi della struttura neurobiologica di molti animali indicano che effettivamente le strutture neurobiologiche sono simili e sovrapponibili per molti aspetti, pur presentando delle specializzazioni. In questo senso, il cervello è un organo come tutti gli altri.

Innanzitutto, bisogna dire che il cervello è l’organo più importante nella costruzione dello stile comportamentale di una specie.
Si tratta di un organo di coordinamento che dà luogo al modo in cui una specie si comporta nella sua relazione con il mondo. Questo vale per molteplici campi dell’essere animale, dall’aspetto predatorio a quello riproduttivo fino al procacciamento del cibo. Il cervello è quindi una struttura che, pur avendo condizioni simili, ha specializzazioni differenti per cui è corretto parlare di una pluralità cognitiva: specie differenti presentano intelligenze differenti.

Il cane ha notoriamente un’intelligenza fortemente sociale, una caratterizzazione del suo modo di essere che si basa sulla capacità di assumere un ruolo all’interno del gruppo, di saper essere un pacificatore, di saper costruire relazioni gerarchiche e attuare schemi di concertazione. Si tratta di un animale che ha questa specializzazione intellettiva. Se dovessimo definire l’intelligenza del cane, questa sarebbe sicuramente un’intelligenza sociale, l’intelligenza di un politico, caratterizzata dal saper fare mediazioni, organizzare gruppi e tenere a mente quali sono le peculiarità proprie dei vari elementi del gruppo rispetto a ruoli, ranghi, etc. È molto scarsa, invece, quando si tratta di risolvere individualmente un problema.

Diversamente, se le prove di intelligenza sul cane fossero fatte su test di problem solving, troveremmo che il gatto è molto più intelligente perché ha maggiore capacità di intuito, di comprensione dello spazio dei problemi, una maggiore tendenza operativa, e sa agire con maggior flessibilità comportamentale attuando schemi di azione in modo, per molti versi, più ostinato di un cane. Cosa significa tutto questo? Se facessimo un test di intelligenza con le nostre metodologie, che molto spesso sono orientate verso la soluzione del problema stesso, arriveremmo alla conclusione che il gatto è molto più intelligente del cane.

In realtà, si tratta di due letture sbagliate.

È sbagliato pensare che il cane sia più intelligente del gatto perché un censimento ci dice che ha più neuroni corticali così come è sbagliato affermare che il gatto sia più intelligente del cane perché mostra di agire con più facilità nelle situazioni di problem solving. In realtà sono due intelligenze diverse, cane e gatto hanno delle strutture cognitive atte a svolgere compiti differenti.

Il grande errore è polarizzare la nostra comprensione sulla base di un più e di un meno.

Quando affermiamo che una specie è più intelligente di un’altra stiamo cadendo in un errore di tipo evoluzionistico, nel senso che già Darwin ci ha spiegato che l’evoluzione ha portato a diverse specializzazioni e che le varie specie non sono comparabili, poiché hanno intrapreso traiettorie differenti non commensurabili attraverso dei numeri.

Il punto fondamentale è che quando parliamo di specializzazioni, la divergenza tra le specie diventa così grande che non è possibile affermare quale è l’animale più intelligente.

Un’ultima cosa che mi preme sottolineare, l’indice di encefalizzazione non è dato dal numero di neuroni complessivo ma è collegato anche ad altri aspetti come la mole del corpo, i tempi evolutivi della specie stessa, insomma ci sono molti altri paramenti da considerare, altrimenti dovremmo dire che un elefante è molto più intelligente dell’uomo, almeno in quanto a numero di neuroni corticali.


Siua, Istituto di Formazione Zooantropologica, nasce a Bologna nel 1997 da un’idea di Roberto Marchesini, etologo e fondatore della zooantropologia, la disciplina che si occupa della relazione tra l’essere umano e le altre specie, e studioso di scienze cognitive. Ben presto questo progetto ha visto l’adesione di molti ricercatori e oggi il parco docenti interni di Siua è molto vasto comprendendo una molteplicità di aree professionali. Fin dal suo esordio, Siua si propone di sensibilizzare sul valore della relazione con la natura, attraverso progetti didattici per le scuole e attraverso la formazioni di professionisti in grado di favorire tale incontro. I valori di Siua possono essere riassunti nel concetto di empatia: riconoscere l’importanza delle caratteristiche di specie, cercare una consonanza accogliendo i bisogni e le istanze, rimarcare il principio del rispetto.

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