Le eredità affettive

La relazione con un animale familiare non è un vezzo o sintomo di decadenza amorale ma un'esperienza necessaria per sviluppare la nostra coscienza naturale.
Roberto Marchesini

Roberto Marchesini

Filosofo, etologo, zooantropologo, saggista e fondatore di SIUA – Istituto di formazione zooantropologica.

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Il legame che si viene a creare tra un essere umano e un cane o un gatto, ma nondimeno verso altri animali domestici, è molto profondo e purtroppo spesso viene banalizzato dagli organi mediali. In questo periodo di oggettive difficoltà economiche e sociali, che colpiscono in modo profondo tutta l’Europa, non è raro – anzi, sembra essere diventato lo sport più diffuso da parte di opinionisti di ogni livello – stigmatizzare la relazione con gli animali come una difformità, uno spreco di risorse, un’espressione di antiumanità quando non addirittura di distorsione o di perversione culturale. Ma così facendo ci si dimentica il ruolo fondamentale e insostituibile che hanno avuto questi animali nella storia dell’umanità.

Considerare questo rapporto come frutto dei nostri tempi malati ed espressione di una caduta dei valori fondativi della solidarietà umana significa avere uno sguardo miope e trasformare gli animali nel capro espiatorio dei nostri disagi. Si tratta di un atteggiamento demagogico, privo di qualsivoglia fondamento, frutto altresì del malcostume di prendersela sempre con l’anello debole della rete di relazioni che compone la società. Purtroppo si tratta di un vizio che si ripete nel corso della storia e che non lascia presagire nulla di buono.

Ma torniamo al significato di questo legame che, se talvolta può assumere connotati surrogatori – l’animale come sostituto di altre mancanze – in realtà riveste un suo preciso posizionamento antropologico, come dimostra il fatto che in tutte le società è presente, anche in quelle che, con spocchia occidentale, consideriamo arretrate o eufemisticamente primigenie. La domesticazione del lupo, solo per fare un piccolo esempio, affonda le radici nel remoto paleolitico, quando non solo era improbabile e implausibile un ruolo sostitutivo, ma altresì non ancora emersa quella compagine performativa – la difesa, la caccia, la pastorizia, la ricerca, solo per fare qualche esempio – con cui spesso si cerca di giustificarne l’origine. In realtà possiamo dire che fu proprio il lupo che, entrando nella dimensione umana, fece emergere queste attività. Noi siamo il prodotto di questa storia e, se è vero che la condizione umana è dettata prima di tutto da coordinate culturali, allora a maggior ragione dobbiamo ammettere che anche il lupo in un certo qual modo ci ha addomesticati.

Entrando nella società umana, l’ha cambiata e ne ha data una certa caratterizzazione attraverso un ruolo attivo che ancor oggi non smette di stupirci per la duttilità con cui s’inserisce nel tessuto sociale inventando continuamente nuovi ruoli di partnership: si pensi solo alla Pet Therapy. Allo stesso modo il gatto si è fatto strada all’interno delle dinamiche abitative e produttive della rivoluzione del neolitico, ricavandosi una nicchia che andava rinnovandosi via via che l’essere umano modificava socialmente e urbanisticamente le sue abitudini. Non dobbiamo pertanto considerarli parassiti o intrusi della nostra società ma presenze che insieme a noi hanno costruito uno stile sociale. Questo è il motivo spicciolo per cui non sappiamo e non possiamo farne a meno.

Come dicevo, si tratta di un legame profondo che contribuisce a renderci più umani ossia più aderenti a quelle qualità che costituiscono i valori fondanti del nostro essere umani. Nella relazione con i bambini, solo per fare un esempio, tali presenze si rivelano opportunità formative insostituibili: non sono pertanto surrogati ma non sono nemmeno surrogabili. Un bambino che cresce con un animale domestico vede arricchito il proprio immaginario, la capacità empatica, il suo registro comunicativo, il proprio rapporto con la corporeità. Ma anche una famiglia nel suo insieme riceve importanti benefici dalla presenza di un quattro zampe perché viene rafforzata la sistemica delle relazioni interne, ammortizzati molti fattori di malumore, accresciuta la capacità di sentirsi un gruppo. Non parliamo poi delle persone sole, degli anziani, di coloro che per un qualunque motivo versano in condizioni di difficoltà.

Ripeto spesso che gli animali familiari sono delle guide, novelli “Virgilio” in grado di accompagnarci nella natura, di farci uscire da quel cortocrircuito troppo umano che per molti costituisce un fattore di disagio per i suoi caratteri competitivi, omologanti e di giudizio.

Possiamo fare a meno di tante cose, ma non della relazione con quegli animali che ci hanno accompagnato nel lungo cammino umano.


Siua, Istituto di Formazione Zooantropologica, nasce a Bologna nel 1997 da un’idea di Roberto Marchesini, etologo e fondatore della zooantropologia, la disciplina che si occupa della relazione tra l’essere umano e le altre specie, e studioso di scienze cognitive. Ben presto questo progetto ha visto l’adesione di molti ricercatori e oggi il parco docenti interni di Siua è molto vasto comprendendo una molteplicità di aree professionali. Fin dal suo esordio, Siua si propone di sensibilizzare sul valore della relazione con la natura, attraverso progetti didattici per le scuole e attraverso la formazioni di professionisti in grado di favorire tale incontro. I valori di Siua possono essere riassunti nel concetto di empatia: riconoscere l’importanza delle caratteristiche di specie, cercare una consonanza accogliendo i bisogni e le istanze, rimarcare il principio del rispetto.

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