Spagna: uccide gatto in lavatrice, il web si indigna ma…

La Spagna si indigna per l'uccisione a sangue freddo di un gatto, vicenda raccapricciante che purtroppo resterà quasi certamente impunita.

Una 23enne sorprende un gatto di strada mentre tentava di accoppiarsi con la sua gattina e per “punirlo” lo infila nella lavatrice, premendo il pulsante per avviare il lavaggio. Il felino miracolosamente sopravvive dopo un primo ciclo ma la ragazza fa ripartire il lavaggio, uccidendolo.

Ogni fase di questo macabro gioco viene filmata con il cellulare, che registra anche numerosi commenti di scherno: la ragazza non tradisce la minima esitazione per quel trattamento così barbarico, né sospetta di aver commesso qualcosa di illecito, tanto che poco dopo carica il video su Instagram, evidentemente certa che gli altri utenti potessero trovare divertente assistere a questa tortura. Ovviamente così non è stato: dopo aver ricevuto una caterva di segnalazioni, il social network ha rimosso il filmato.

La pronta reazione della rete conforta ma non lenisce il dolore per queste immagini, che sono un doloroso pugno nello stomaco per chi ogni giorno si impegna per elevare la tutela legale e la considerazione morale degli animali nella nostra società. Ci si stupisce innanzitutto di come sia possibile pensare di uccidere un animale che non ha alcuna colpa se non di aver seguito il proprio istinto. Ma a stupire ancora di più è la totale assenza di sensibilità della ragazza, che avendo un gatto si sarebbe portati a credere che non possa fare del male a un altro gatto, invece nel commettere questo gesto efferato dimostra non solo freddezza e ignoranza delle leggi ma anche un totale scollamento dalla realtà — chi penserebbe di condividere un filmato simile sui social? — e persino sadismo.

Non a caso, gli spettatori sono rimasti sconvolti e sono state raccolte (al momento) oltre 345mila firme di persone che chiedono una sanzione esemplare della ragazza, la quale avrebbe in passato anche aizzato un cane contro un gatto nero.

Questa storia che viene dalla vicina Spagna ha dell’incredibile, eppure dopo un primo momento di smarrimento si fanno presto i conti con la realtà e si comprende che non soltanto sarebbe potuta capitare ovunque, nel cosiddetto “mondo civilizzato” ma che, in effetti, simili gesti criminali accadono davvero ogni giorno. Il catalogo degli orrori è infinito: animali avvelenati, annegati, sotterrati vivi, semplicemente morti per investimento dopo essere stati abbandonati lungo una strada… 

Il vero dramma è che, nella stragrande maggioranza dei casi, simili episodi restano invisibili, in quando i loro autori non sono tanto scriteriati da esporli sui social network.

Sono migliaia le vittime di questi reati che non fanno notizia, perché semplicemente i loro autori non sono tanto scriteriati da esporli sui social network e l’accertamento dei fatti è spesso quasi impossibile. Anche nell’ipotesi più banale abbandono di un cane, identificare i responsabili è difficilissimo, se il cane — come spesso accade — non è dotato di microchip. Per non dire delle cucciolate abbandonate o soppresse nei modi più violenti immaginabili, non solo nelle campagne ma anche nelle metropoli e non soltanto nel meridione ma anche nelle regioni settentrionali.

Episodi come questo in Spagna o il caso di Angelo in Calabria dimostrano che non soltanto la nostra società ha necessità di ripensare profondamente il proprio rapporto con gli altri animali ma anche — e soprattutto —che il sistema legale cambi, per adeguarsi alla mutata sensibilità della popolazione: se un tempo l’uccisione di animali a sangue freddo passava quasi inosservata, oggi è un comportamento che la società reputa inaccettabile e che vuole sia punito severamente.

Nonostante la totale mancanza di sensibilità e di scusanti per questi comportamenti efferati e i cori unanimi di indignazione, invece, la legge italiana — così come quella spagnola — non prevede punizioni adeguate per questi reati: la sanzione massima è di 18 mesi di carcere, ben al di sotto della soglia per la sospensione condizionale o per la concessione del beneficio della messa alla prova. In Andalusia finirà come a Paola: senza una vera e propria condanna. A perderci sono non soltanto gli animali ma l’intera società.

È evidente che le norme del codice penale sono gravemente inadeguate poiché nonostante le notizie di simili reati suscitino ondate di indignazione tali da travalicare i confini nazionali, gli autori non vedranno mail le porte di un carcere, nonostante siano rei confessi e la popolazione chieda a gran voce pene esemplari.

È evidente che le norme del codice penale sono gravemente inadeguate poiché gli autori di questi reati non vedono mai le porte di un carcere, nonostante la popolazione chieda a gran voce pene esemplari. 

Nella teoria generale del diritto penale si studia che la sanzione penale oltre che tendere alla rieducazione del condannato dovrebbe prima di tutto avere una funzione general-preventiva, cioè fungere da deterrente nei confronti della collettività, affinché i comportamenti puniti non vengano commessi. Inoltre, la pena ha anche una funzione retributiva, cioè si infligge una condanna come contrappeso per un male provocato, affinché sia ristabilito l’equilibrio violato dalla commissione dell’illecito. Lasciando da parte quest’ultimo attributo, resta che una pena che non viene mai applicata è totalmente priva di efficacia preventiva. A maggior ragione se l’accertamento dei reati è difficile e quindi i colpevoli hanno meno probabilità di essere scoperti.

La determinazione delle pene per gli illeciti penali è una scelta di politica criminale che spetta al legislatore. Ci sono però dei parametri di buon senso — come la necessità che reati come questi abbiano una risposta adeguata da parte del sistema — che dovrebbero spingere a elevare le pene per i reati contro gli animali, come è stato fatto di recente nel Regno Unito.

Concludendo, l’auspicio della nostra associazione è che la legislatura appena iniziata possa inasprire le pene per questi reati, passo che oramai non è più rinviabile.

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