Cucciolo in garage: condanna

La Corte di Cassazione si è espressa confermando la condanna di euro mille del ricorrente che deteneva un cucciolo in uno spazio angusto.
Avv. Elisa Scarpino

Avv. Elisa Scarpino

Responsabile rivista online "Diritto degli animali. Profili etici, scientifici e giuridici".

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La Corte di Cassazione si è espressa recentemente chiarendo che il reato di detenzione di animale in condizioni incompatibili con la loro natura, previsto dall’art. 727, comma II, del codice penale non si configura soltanto in caso di malnutrizione o di incuranza dello stato di salute dell’animale (come abbiamo visto in una vicenda di mancata cura di dermatite in un precedente contributo), ma altresì nel momento in cui sono poste delle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale.

Secondo gli ermellini, infatti, l’ipotesi di reato non postula la necessaria ricorrenza di situazioni, quali la malnutrizione e il pessimo stato di salute degli animali, indispensabili per poterne qualificare la detenzione come incompatibile con la propria natura, ma al proposito rilevano tutte quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale procurandogli dolore e afflizione, compresi comportamenti colposi di abbandono o incuria.

La vicenda sulla quale è intervenuta la sezione terza, con sentenza n. 1835 depositata l’11 gennaio 2023 nel procedimento 26574/22 RG, riguardava un cucciolo detenuto in un locale chiuso, scarsamente illuminato, in uno spazio angusto di garage, chiuso da una rete metallica in mezzo a oggetti ingombranti (l’imputazione riferisce un metro quadrato), con conseguente scarsa possibilità di movimento, in mezzo alle proprie deiezioni e senza acqua per essere stata in quelle condizioni rovesciata la ciotola.

Il giudice di merito ha ritenuto sussistessero gli elementi della contravvenzione menzionata, a nulla rilevando la dichiarazione di buona salute resa dal medico veterinario nel corso del processo, stante la detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la propria natura e produttive di gravi sofferenze e comminando la pena di euro 1.000,00 di ammenda.

Decisione, quest’ultima, che è stata confermata dalla Suprema Corte divenendo irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente e della condanna alla pena di legge, mentre è stato disposto l’annullamento con rinvio per la decisione circa la confisca dell’animale, facoltativa ai sensi dell’art. 240, primo comma, c.p., al Tribunale di Catania, in diversa persona fisica, per nuovo giudizio.

Come spesso accade, l’animale era stato confiscato, ma lasciato in custodia al proprietario e cresciuto dallo stesso per diversi anni prima che fosse resa la sentenza riportata.

Non siamo obbligati a possedere un animale, ma una volta effettuata tale scelta averne la massima cura e preservare il suo benessere psico-fisico, come abbiamo visto, è un nostro dovere, legale e non solo.

“Gli occhi di un animale hanno il potere di parlare un grande linguaggio” (Martin Buber).

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