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Diritto al lutto per un animale domestico

Esiste in Italia il diritto al lutto per la morte dell’animale domestico, o meglio, può un lavoratore dipendente richiedere un permesso?
Avv. Cristiana Cesarato

Avv. Cristiana Cesarato

Avvocata civilista in Torino e addestratrice cinofila di 1° livello ENCI. Blogger per passione e per difendere un grande sogno: il riconoscimento del diritto degli animali come un diritto costituzionalmente garantito.

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Esiste in Italia il diritto al lutto per la morte dell’animale domestico, o meglio può un lavoratore dipendente richiedere un permesso retribuito per tale evento? La risposta non ci crederete ma è naturalmente NO! In Italia non esiste una legge specifica che regoli il congedo per il lutto di un animale domestico.

A dire il vero non siamo i soli perché anche i nostri amici scozzesi non danno tanto un buon esempio! Avrete infatti sentito parlare di una cameriera scozzese che ha preso un giorno di ferie per la morte del suo cane ed è stata licenziata dal suo datore di lavoro. Ma la donna non ha accettato la decisione e ha aperto una petizione online per chiedere che la legge sul congedo per lutto, che la legge britannica riconosce nel caso in cui si perdono dei famigliari, sia estesa anche agli animali domestici.

Vi rincuoro comunque dandovi una buona notizia perché, nonostante l’assenza di permessi per lutto, è possibile, nel nostro Paese, richiedere un permesso retribuito per la cura del proprio animale domestico.

Secondo la Corte di Cassazione, quando si deve assistere un animale familiare, bisognoso di cure particolari e indispensabili, si può avere diritto ad assentarsi dal lavoro, percependo comunque la retribuzione.

Il caso che ha aperto la strada alla possibilità di chiedere un permesso retribuito per curare il proprio animale domestico riguarda una dipendente universitaria, che necessitava di sottoporre il proprio cane a un intervento veterinario urgente e quindi assisterlo. Stante il rifiuto del datore di lavoro a concedere il permesso, la lavoratrice si rivolgeva alla Lega Antivivisezione (LAV), che gli forniva assistenza legale facendoglielo ottenere.

Nel caso in cui l’animale non riceva cure adeguate, il proprietario può infatti incorrere nel reato di abbandono ai sensi dell’art. 727 c.p. che punisce con l’arresto fino ad un anno o con
l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro chiunque abbandona animali domestici o che abbiano
acquisito abitudini della cattività. Per “abbandono” in senso legale si può, infatti, intendere, secondo i giudici, anche “qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione”.

Chi è tenuto a prendersene cura ne è, infatti, responsabile, fino a essere penalmente perseguibile.

Quando è concesso un permesso di lavoro retribuito?

I permessi di lavoro retribuiti sono in generale previsti per tutti i dipendenti pubblici e privati. Sono dei brevi periodi di tempo in cui è possibile assentarsi ottenendo la normale retribuzione prevista dal proprio contratto nazionale.

Tra i principali riconosciuti ad oggi sono compresi ad esempio: i motivi di lutto o infermità, cura di un familiare disabile legge 104/92, matrimonio, esami e concorsi e allattamento.

Permesso per animale: quando spetta?

La vicenda della dipendente universitaria apre ad un nuovo ambito sui permessi retribuiti per le cure degli animali domestici. In particolare, si potrà richiedere anche tale opzione, avvalendosi della possibilità del lavoratore di assentarsi per grave motivo familiare o personale. Tuttavia, sarà necessario produrre adeguata documentazione come un certificato del veterinario sulla urgenza della visita e dell’impossibilità di poter delegare ad altri la cura del proprio animale domestico.

Il punto fondamentale della vicenda consiste dunque nel riconoscimento – da parte del datore di lavoro – di una interrelazione personale rilevante tra uomo e animale, tale da considerare quest’ultimo un componente della famiglia a tutti gli effetti, in questo modo conferendo piena legittimità e conformità alla richiesta di permesso dal lavoro retribuito da parte della dipendente.

Appare dunque evidente come non poter prestare o far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili dell’animale, come nel caso in esame, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora era sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane.

Grazie all’esperienza della ragazza universitaria, d’ora in avanti, chi si troverà nella stessa
situazione di dover assistere il proprio animale con urgenza senza poter delegare qualcun altro, potrà citare questo importante precedente.

Un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia.

Ma il vero obbiettivo è il riconoscimento del diritto al lutto anche per la perdita del proprio animale domestico perché il dolore non possa passare inosservato e nel silenzio. Solo il riconoscimento del dolore aiuta a superarlo e il diritto a vivere il lutto liberamente aiuta
proprio a questo.

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