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Telecamere in allevamenti e macelli: dalle leggi Ag-Gag americane al quadro normativo italiano

Un'analisi delle leggi riguardanti la raccolta e diffusione di materiale audiovisivo registrato nei luoghi in cui si svolgono queste attività.
Nicolas Timpanaro

Nicolas Timpanaro

Laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano. Tirocinante ex art. 73, D.L. 69/2013 presso il Tribunale di Milano. Sempre dalla parte degli ultimi.

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Il fenomeno della diffusione di video effettuati all’interno di macelli e allevamenti è sicuramente stato alla base della nascita di alcune nuove organizzazioni sorte all’inizio del millennio e ha indubbiamente contribuito a ripensare il sistema di produzione industriale di prodotti di origine animale: le registrazioni effettuate hanno portato alla luce ciò che troppo spesso avviene dietro a mura per i più impenetrabili, come maltrattamenti e violazione delle scarne regole che dovrebbero garantire il benessere degli animali da allevamento, che sono tuttora considerati di fatto quali mezzi di produzione, pertanto non tutelati come dovrebbero in virtù del riconoscimento come esseri senzienti1Il Trattato di Lisbona, adottato dall’Unione Europea nel 2007, riconosce all’art. 13 che «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti (…)»..
L’esigenza di effettuare riprese all’interno di tali luoghi nasce allora da una duplice opportunità: in primis, portare a conoscenza dei potenziali consumatori cos’è e come avviene la produzione di ciò che mangiamo tutti i giorni, creando anche le basi per affrontare gli interrogativi etici che si pongono in relazione alle scelte alimentari che possono essere assunte; in secondo luogo, dimostrare e denunciare pubblicamente l’insufficienza dei controlli ufficiali, segnalando alle autorità le violazioni di legge, con funzione anche in ottica deterrente, al fine di evitare che un sistema strutturalmente basato su maltrattamenti e scarsa considerazione delle necessità etologiche degli animali possa diventare la regola.
Le logiche della produzione massificata di tipo industriale, che sono oggi applicate anche all’allevamento, tendono alla riduzione dei costi e all’aumento dei ritmi produttivi seguendo le logiche di mercato, il quale detta il valore di vendita dei prodotti finiti senza tener conto delle reali esternalità negative riversate sulla collettività.

Osservando i filmati rilasciati di frequente dalle organizzazioni specializzate in questo lavoro di indagine, la domanda che sorge spontanea è: tali riprese sono vietate? Perché, a oggi, non vi sono installate in tali luoghi dei sistemi che possano prevenire le violazioni del benessere animale?
Partendo dai divieti per eccellenza di riprese e videosorveglianza, rappresentanti dalle cosiddette leggi Ag-Gag americane, ciò che qui ci si prefigge è di comprendere quali limiti vi siano nel nostro paese, e quali prospettive possono essere perseguite per il futuro.

Il caso delle leggi Ag-Gag americane

Caso emblematico di divieti posti per legge, volti ad arginare la diffusione di riprese audiovisive di ciò che avviene all’interno di allevamenti e macelli, è rappresentato dalle leggi Ag-Gag, anche dette “leggi bavaglio”.
Concepite negli Stati Uniti negli anni ‘90 e fortemente caldeggiate dalle aziende operanti nel settore agroalimentare, queste leggi hanno il fine di comprimere il diritto di divulgare informazioni che portano alla luce le condizioni degli animali coinvolti nel ciclo produttivo, dissuadendo e punendo gli attivisti coinvolti nelle indagini sotto copertura.
Sono caratterizzate per contenere una o più delle seguenti previsioni:

  • «Proibiscono la raccolta di informazioni, ad esempio vietando di poter effettuare fotografie, riprese video o raccolta di documenti;
  • Proibiscono di potersi fingere qualcun altro con lo scopo di ottenere l’accesso in un allevamento, ad esempio mentendo quando viene richiesto al richiedente se fa parte di un’associazione a tutela dei diritti degli animali;
  • Richiedono la segnalazione rapida alle autorità di compimento di atti di crudeltà sugli animali»2Center for Constitutional Rights, Ag-Gag Across America, Corporate-Backed Attacks on Activist and Whistleblowers, ccrjustice.org, 2017, 6, traduzione personale dell’autore..

Se le prime due casistiche sono di facile comprensione e se ne ravvisa direttamente il fine repressivo, l’ultima sembrerebbe posta in prima battuta a tutela degli animali da allevamento.
Ma in realtà si è riscontrato come il fine delle leggi Ag-Gag che contengono obblighi di segnalazione tempestiva alle autorità sia più subdolo, in quanto di fatto impedisce l’emersione di violazioni strutturali e sistematiche, non consentendo a giornalisti e attivisti di documentare un modello industriale basato su maltrattamenti e pratiche contrarie al benessere animale e dando, di converso, la possibilità alle imprese coinvolte di minimizzare e sminuire i fatti oggetto di denuncia, facendo passare le violazioni riscontrate come episodi limitati e sporadici3Hemi Kim, Ag-Gag Laws: What Are They and Which States Still Have Them?, sentientmedia.org, 2022..
Alla luce di ciò, si riscontra come le Ag-Gag laws facciano sorgere una serie di criticità, quali una limitazione della libertà di parola, un rischio legato alla sicurezza alimentare4Tale aspetto si concreta nella possibilità che i whistleblower interni si sentano minacciati nel segnalare criticità insite nel sistema produttivo, limitando il controllo interno delle violazioni che possono intaccare la salubrità di prodotti alimentari destinati al consumo umano., un’accresciuta difficoltà di denunciare le violazioni delle norme poste a tutela del benessere animale, una diminuzione della trasparenza del mercato e un limite alle indagini correlate alla tutela dell’ambiente.
Se alcune di queste leggi sono state dichiarate incostituzionali, in quanto contrastanti con il primo emendamento della Costituzione americana5«Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances». che garantisce la libertà di parola, sopravvivono ancora oggi in Alabama, Arkansas, Iowa, Missouri, Montana e North Dakota6Da ultimo, la U.S. District Court for the Southern District of Iowa, nel settembre 2022 ha stabilito che la legge Ag-Gag dell’Iowa che vieta le riprese video e audio negli allevamenti e nei macelli è incostituzionale, sancendo un’altra vittoria delle associazioni animaliste; di più in Court Strikes Down Iowa Recording Ban Ag-Gag Law, aldf.org, 2022., limitando di fatto la possibilità di rendere consapevole una platea di consumatori sempre più attenta alle esigenze degli animali da allevamento e impedendo al sistema industriale di potersi confrontare con l’opinione pubblica, confronto dal quale potrebbe trarre vantaggi e che consentirebbe di porre in essere azioni per un progresso del settore, beneficiandone indirettamente anche gli animali stessi.
Una considerazione è allora d’obbligo: se all’interno della catena produttiva, dall’allevamento al macello non v’è nulla di riprovevole da nascondere, qual è la necessità di una legge ad hoc volta a impedire il lavoro degli attivisti per i diritti degli animali?
Forse la risposta, oggi più che mai, è in una celebre frase di Lev Tolstoj, il quale scriveva «Se i mattatoi avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani».

In Italia è vietato effettuare riprese all’interno di allevamenti e macelli?

In Italia, pur non esistendo leggi ad hoc che ricalchino le leggi Ag-Gag statunitensi, le riprese all’interno di allevamenti e macelli ricadono generalmente in comportamenti che potrebbero essere sanzionati sul piano penale, se compiuti da privati, o che sono soggetti a precisi limiti e procedure, se disposte dal datore di lavoro, in quanto riguardanti incidentalmente anche i diritti dei lavoratori.
Affrontando in primis i limiti a tali riprese, le norme del Codice penale che qui vengono in rilievo sono gli articoli 615 bis e 617 septies.
Con l’art. 615 bis, rubricato Interferenze illecite nella vita privata, vengono punite le riprese effettuate indebitamente all’interno dell’abitazione altrui, in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi (cfr. art. 614 c.p.) con una pena che va dai 6 mesi ai 4 anni, punendo anche chi «rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute».
Se a un primo sguardo appare che una tale disposizione possa essere applicata nel caso di allevamenti o macelli contigui alle abitazioni private dei proprietari, in quanto la norma fa riferimento a “privata dimora” e “appartenenze di essi”, occorre effettuare un’analisi più approfondita, che tenga conto dell’interpretazione della giurisprudenza oramai consolidata e della ratio sottesa.
Si riscontra come, infatti, l’intento del legislatore sia quello di tutelare l’intimità della vita privata da interferenze di terzi: la giurisprudenza in materia, in ossequio allo spirito della norma, ha escluso che possano ricadere sotto la tutela della disposizione in discorso le aree che sono comunque visibili da estranei dall’esterno, precludendo quindi al titolare del domicilio di far valere pretese in ordine al rispetto della propria riservatezza.
Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha enucleato quali siano le condizioni per potersi parlare di “privata dimora”, che sono «a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare» (cfr. Corte di Cassazione, sent. 31345/2017).
Sulla scorta di tali considerazioni, si è escluso che i luoghi adibiti ad allevamento o macello che non abbiano le caratteristiche dell’abitazione privata 7Per un caso diverso, ma sovrapponibile alla fattispecie in discorso, si veda la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 40438/2019 relativa alla vicenda che ha interessato l’allevamento di cani beagle di “Green Hill”, in cui si è statuito «che la disciplina dettata dall’art. 624-bis c.p. è estensibile ai luoghi di lavoro – non altrimenti potendo essere considerati i diversi ambienti collocati nello stabilimento aziendale dell’impresa collettiva Green Hill, espletante l’attività di allevamento di cani -: “Soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione”, la persona svolgendo in essi, o in parte di essi:” atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)” (…) “Se la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere l’art. 52 c.p., comma 3 per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro”, esigendosi che essi, sia pure non continuativamente ma nel modo “esclusivo” precisato, vengano adoperati, per un titolo non occasionale, per lo svolgimento di attività private». possano ricadere nella nozione di privata dimora, in quanto ove venisse accolta una tale tesi estenderebbe la sua portata oltre quella prevista dal legislatore e, trattandosi di norme di natura penale, verrebbe violato il principio di tassatività ex art. 25 della Costituzione.
L’articolo 617 septies, rubricato Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente, punisce invece la diffusione con riprese audio e video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, conversazioni, anche telefoniche o telematiche, col fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine.
Tale norma prevede esplicitamente l’esclusione della punibilità se la diffusione di tali riprese o registrazioni deriva dalla necessità di utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario, o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca. A tal fine, perciò, le riprese effettuate all’interno dei macelli e allevamenti, se utilizzate in giudizio o raccolte per diritto di cronaca, rendono il soggetto non punibile, in quanto il bilanciamento di interessi propende a favore dell’interesse pubblico nel sanzionare comportamenti illeciti e/o nell’informare i cittadini di fatti di interesse rilevante.

Le telecamere possono essere posizionate dal titolare del macello?

Sulla possibilità di installare sistemi di videosorveglianza all’interno dei macelli quale strategia più strutturata ed efficace a tutela del benessere animale8Il 18 aprile 2018, Animal Law Italia insieme a Compassion in World Farming e Legambiente hanno sollevato la questione in Italia con la conferenza Telecamere nei macelli. Più tutele per animali, lavoratori, veterinari e consumatori; CiWF ha chiesto anche di sostenere tale iniziativa ai parlamentari della 18° legislatura, ricevendo aperture da Liberi e Uguali, Partito Democratico, Movimento Animalista, Lega e Forza Italia. In materia sono stati presentati anche diversi disegni di legge, ma nessuno di questi ha visto l’approvazione; si segnalano, ex multis, il n. 308 del 16 marzo 2013; il n. 2548 del 16 luglio 2014; il n. 2870 dell’11 febbraio 2015; il n. 3005 del 1° aprile 2015; il n. 3179 del 16 giugno 2015; il n. 3395 del 3 novembre 2015; il n. 3592 del 5 febbraio 2016; il n. 3863 del 26 maggio 2016; il n. 4339 del 1° marzo 2017; il n. 4535 del 7 giugno 2017., come accade in altri Stati 9Da ultimo, in Spagna è stata introdotta una legge che prevede l’obbligo di installazione di sistemi di videosorveglianza per tutti gli impianti di macellazione; altri esempi virtuosi si riscontrano in Israele, primo paese che ha adottato una previsione di tal genere, Regno Unito, Paesi Bassi e lo Stato indiano Uttar Pradesh; di più in https://www.ali.ong/rivista/diritto/in-spagna-le-telecamere-diventano-obbligatorie-per-legge-in-tutti-i-macelli/. Negli U.S.A., su base volontaria, si è stimato che nel 2012 la metà dei macelli aveva installato una forma di videosorveglianza; di più in Locke, Sarina (2012, 29 Février) Cameras in abattoirs, ABC, http://www.abc.net.au/site-archive/rural/content/2012/s3442487.html., è necessario tenere conto delle possibili criticità, in quanto tali luoghi sono al contempo luoghi di lavoro in cui vanno tutelati i diritti dei lavoratori che vengono incidentalmente in conflitto.
A legislazione vigente, l’installazione di tali sistemi in ambito lavorativo deve essere conforme alle prescrizioni dell’art. 4 della l. 300/1970 (cd. Statuto dei Lavoratori), come novellato dall’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015, che disciplina l’utilizzo di “impianti audiovisivi e altri sistemi di controllo”. L’articolo in parola prevede la possibilità di poter installare sistemi di videosorveglianza, dalla quale possa derivare anche un controllo a distanza della prestazione lavorativa, solo ove vengano soddisfatti i seguenti requisiti:

  • devono essere impiegati, esclusivamente, per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale;
  • previo accordo sindacale o previa autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro;
  • per essere utilizzabili le informazioni raccolte a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, dev’essere stata data adeguata informativa al lavoratore e devono essere rispettate le previsioni del d.lgs. 196/2003 (codice della privacy, oltre che del reg. UE 2016/679, cd. GDPR).

In base a tale normativa il datore di lavoro è tenuto perciò a predeterminare la finalità del controllo, a stipulare preventivamente un accordo sindacale o a richiedere l’autorizzazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Infine, per l’utilizzo delle informazioni raccolte, il datore di lavoro deve rispettare le norme che tutelano la privacy dei lavoratori.
Quest’ultimo aspetto è divenuto ancor più centrale dopo l’introduzione del GDPR, in quanto per ossequiare l’obbligo de quo è necessario rispettare i principi ex art. 5 (liceità, correttezza e trasparenza, limitazione della finalità, minimizzazione dei dati, esattezza dei dati, limitazione della conservazione, integrità), fornendo previamente al lavoratore un’adeguata informativa privacy che deve contenere le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli (ex art. 13, reg. UE 2016/679).
Al di fuori del perimetro dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è riconosciuta dalla giurisprudenza la possibilità per il datore di lavoro di ricorrere ai cosiddetti controlli difensivi, cioè dei controlli finalizzati alla tutela del patrimonio aziendale quando vi sia il fondato sospetto che un dipendente stia compiendo delle condotte illecite10Il dibattito apertosi sulla sopravvivenza dei controlli difensivi dopo la modifica dell’art. 4 St. Lav., a opera del d.lgs. 151/2015, ha avuto un punto di arresto con la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con sentenza del 17 ottobre 2019, Rìbalda and others c. Spain – n. 1847/13 and 8567/13, non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 8 CEDU nel caso in cui il datore di lavoro, effettuando controlli occulti sull’operato dei lavoratori, rispetti il principio di proporzionalità. Si segnala come la Suprema Corte di Cassazione, da ultimo, ha pienamente riconosciuto la sopravvivenza dei controlli difensivi alle modifiche di cui supra, potendosi perciò ravvisare tali tipi di controlli al di fuori dell’art. 4, l.300/1970, ove siano rispettati determinate precauzioni e ove non diventi uno strumento per eludere la normativa statutaria; cfr. Cass., sez. lav., n. 34092/2021 e, in ambito penale, Cass., sez. 3, n. 3255/2021., utilizzando dei controlli che esulano dalle condizioni suesposte.
Tali tipologie di riprese non possono, però, assurgere a ordinario strumento di prevenzione e dissuasione alle violazioni compiute nei macelli, in quanto tollerati come modalità eccezionale di controllo a distanza, che dovrà essere sorretta da motivazioni di cui sarà onerato il datore di lavoro di provare eventualmente in giudizio, correndo il rischio di incorrere in sanzioni ben più gravi ove si concretasse in un mero controllo occulto dell’attività lavorativa11La violazione della previsione statutaria dell’art. 4 è punita con la sanzione ex art. 38, l.300/1970, il quale prescrive, al co. 1, che «Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma, lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire 100.000 a lire un milione o con l’arresto da 15 giorni ad un anno»..
Oltre agli aspetti giuridici e alle problematiche di implementazione, si deve però sottolineare anche come l’installazione di sistemi di videosorveglianza all’interno dei macelli porterebbe indubbi benefici agli imprenditori del settore agroalimentare: potrebbe prevenire e limitare i maltrattamenti e le violazioni del Regolamento (CE) 1099/2009, in quanto la circostanza che l’ambiente di lavoro è visionabile in tempo reale e a posteriori dal datore di lavoro e dalle autorità ha un chiaro effetto deterrente; infine, si garantirebbe più trasparenza e si creerebbero le basi per una maggiore fiducia nei consumatori, sempre più attenti a scegliere e premiare i prodotti provenienti da aziende che tutelano il benessere animale12Da un sondaggio effettuato dall’Istituto Superiore di Sanità è emerso come il 94,2% dei partecipanti sarebbero disposti a pagare di più degli alimenti prodotti nel rispetto del benessere animale, essendo emerso come vi sia una correlazione tra quest’ultimo aspetto e la qualità percepita dai consumatori; si veda Pinto A., Crovato S., Mascarello G., Marcolin S., Rizzoli V., Bertocchi L., Ravarotto L., Il concetto di “benessere animale in allevamento” per i consumatori italiani: risultati di un’indagine nazionale (aprile/maggio 2019), in Boll Epidemiol. Naz 2020;1(2), pp. 9-14..
Pertanto, il quadro normativo attuale prevede che possano essere effettuate riprese all’interno di macelli e/o allevamenti, anche quando vi siano dei lavoratori incidentalmente ripresi nello svolgimento della loro prestazione lavorativa, ma ad ora l’intero sistema di videosorveglianza sarebbe economicamente a carico del datore di lavoro, il quale dovrebbe sostenere i costi13Si è stimato in Inghilterra come un sistema di videosorveglianza costerebbe dalle £ 150,00 alle £ 370,00 annui di mantenimento, mentre per l’installazione si oscilla dalle £ 700,00 alle £ 900,00; un costo sicuramente contenuto tenendo conto del tornaconto economico generato in termini di maggiori vendite legate al miglioramento della propria immagine sul mercato. Di più in Philip Case, Cost of slaughterhouse CCTV monitoring revealed, in fwi.co.uk, 2016; https://www.animalaid.org.uk/wp-content/uploads/2016/10/RotherhamReport.pdf di installazione e mantenimento e dovrebbe, per non violare gli obblighi di legge, stipulare gli accordi con le organizzazioni sindacali o farsi rilasciare l’autorizzazione dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, oltre che dover trattare i dati conformemente ai principi del codice della privacy e del GDPR.
Nonostante gli indubbi ritorni economici derivanti dal miglioramento della propria immagine sul mercato e alla riduzione di cattive pratiche sul luogo di lavoro, non può sottacersi come tali oneri possano disincentivare l’adozione di sistemi di videosorveglianza, richiedendosi comunque uno sforzo economico non indifferente per gli imprenditori.

Possibili previsioni per il futuro

Dalla panoramica sull’opportunità di utilizzare sistemi di sorveglianza all’interno di allevamenti e macelli, ciò che si evince è che sorge la necessità che intervenga direttamente il legislatore: alla luce della maggior sensibilità dell’opinione pubblica e delle diverse inchieste che hanno fatto emergere irregolarità e maltrattamenti di animali nella filiera produttiva, la soluzione che appare più opportuna è quella di una legge ad hoc, che preveda incentivi fiscali per l’installazione di videocamere di sorveglianza, magari integrata con la certificazione di benessere animale14Sulla proposta di etichettatura le voci critiche delle associazioni sono state pressoché unanimi, in quanto riconosciute come corrette pratiche oramai desuete, che potrebbero essere agevolmente superate, che cagionano sofferenza e patimenti inutili agli animali; si veda Daria Vitale, Benessere animale: i consumatori chiedono più trasparenza, in ali.ong, 2022., rendendo i prodotti riconoscibili ai consumatori finali che potrebbero scegliere consapevolmente di premiare le aziende che assumono degli standard più elevati di protezione degli animali.
Inoltre, si potrebbe anche prendere esempio dalle pratiche messe in atto in altri Paesi europei, come quella adottata nei Paesi Bassi15Di più in https://www2.deloitte.com/nl/nl/pages/consumer/solutions/ai4animals.html. in cui è stato sviluppato un sistema di sorveglianza basato sull’intelligenza artificiale: tale software rileva autonomamente movimenti umani che causano stress agli animali, animali che rimangono indietro — indice di zoppia, sfinimento e lesioni, controlla il corretto utilizzo dello storditore mobile, la creazione di colli di bottiglia, cioè quando un grande gruppo di animali è bloccato nei corridoi —, la presenza di segni residui di vita e coscienza quando gli animali non dovrebbero essere vivi.
Se correttamente implementato, un tale software potrebbe coadiuvare i controlli dei veterinari e delle autorità, segnalando autonomamente eventuali violazioni e criticità e contribuendo a effettuare controlli su larga scala con una maggiore efficacia, in quanto basati su una rilevazione continua delle pratiche messe in atto da coloro che operano con gli animali, rispetto ai controlli a campione che possono essere effettuati sulle registrazioni.
Inoltre, il software dev’essere sviluppato con il fine di tutelare la privacy dei lavoratori, potendo anche anonimizzare le immagini oggetto di controllo, rendendo irriconoscibili i lavoratori che svolgono l’ordinaria prestazione lavorativa, e quindi impedendo controlli occulti sulla prestazione, ma potendo di converso portare a conoscenza delle autorità le violazioni senza censure, svelando l’identità di coloro che non rispettano le norme a tutela del benessere animale.
Quindi, ferme restando le previsioni dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, l’introduzione di una legge apposita, anche nell’ottica di dare attuazione ai principi costituzionali ex articolo 916«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». ed ex articolo 4117«L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali», appare la via maestra per garantire un maggiore benessere degli animali e per una trasparenza del mercato che vada incontro alla richiesta dei consumatori, sempre più attenti alla compatibilità etica e morale di ciò che mangiano.

Note

  • 1
    Il Trattato di Lisbona, adottato dall’Unione Europea nel 2007, riconosce all’art. 13 che «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti (…)».
  • 2
    Center for Constitutional Rights, Ag-Gag Across America, Corporate-Backed Attacks on Activist and Whistleblowers, ccrjustice.org, 2017, 6, traduzione personale dell’autore.
  • 3
    Hemi Kim, Ag-Gag Laws: What Are They and Which States Still Have Them?, sentientmedia.org, 2022.
  • 4
    Tale aspetto si concreta nella possibilità che i whistleblower interni si sentano minacciati nel segnalare criticità insite nel sistema produttivo, limitando il controllo interno delle violazioni che possono intaccare la salubrità di prodotti alimentari destinati al consumo umano.
  • 5
    «Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances».
  • 6
    Da ultimo, la U.S. District Court for the Southern District of Iowa, nel settembre 2022 ha stabilito che la legge Ag-Gag dell’Iowa che vieta le riprese video e audio negli allevamenti e nei macelli è incostituzionale, sancendo un’altra vittoria delle associazioni animaliste; di più in Court Strikes Down Iowa Recording Ban Ag-Gag Law, aldf.org, 2022.
  • 7
    Per un caso diverso, ma sovrapponibile alla fattispecie in discorso, si veda la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 40438/2019 relativa alla vicenda che ha interessato l’allevamento di cani beagle di “Green Hill”, in cui si è statuito «che la disciplina dettata dall’art. 624-bis c.p. è estensibile ai luoghi di lavoro – non altrimenti potendo essere considerati i diversi ambienti collocati nello stabilimento aziendale dell’impresa collettiva Green Hill, espletante l’attività di allevamento di cani -: “Soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione”, la persona svolgendo in essi, o in parte di essi:” atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)” (…) “Se la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere l’art. 52 c.p., comma 3 per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro”, esigendosi che essi, sia pure non continuativamente ma nel modo “esclusivo” precisato, vengano adoperati, per un titolo non occasionale, per lo svolgimento di attività private».
  • 8
    Il 18 aprile 2018, Animal Law Italia insieme a Compassion in World Farming e Legambiente hanno sollevato la questione in Italia con la conferenza Telecamere nei macelli. Più tutele per animali, lavoratori, veterinari e consumatori; CiWF ha chiesto anche di sostenere tale iniziativa ai parlamentari della 18° legislatura, ricevendo aperture da Liberi e Uguali, Partito Democratico, Movimento Animalista, Lega e Forza Italia. In materia sono stati presentati anche diversi disegni di legge, ma nessuno di questi ha visto l’approvazione; si segnalano, ex multis, il n. 308 del 16 marzo 2013; il n. 2548 del 16 luglio 2014; il n. 2870 dell’11 febbraio 2015; il n. 3005 del 1° aprile 2015; il n. 3179 del 16 giugno 2015; il n. 3395 del 3 novembre 2015; il n. 3592 del 5 febbraio 2016; il n. 3863 del 26 maggio 2016; il n. 4339 del 1° marzo 2017; il n. 4535 del 7 giugno 2017.
  • 9
    Da ultimo, in Spagna è stata introdotta una legge che prevede l’obbligo di installazione di sistemi di videosorveglianza per tutti gli impianti di macellazione; altri esempi virtuosi si riscontrano in Israele, primo paese che ha adottato una previsione di tal genere, Regno Unito, Paesi Bassi e lo Stato indiano Uttar Pradesh; di più in https://www.ali.ong/rivista/diritto/in-spagna-le-telecamere-diventano-obbligatorie-per-legge-in-tutti-i-macelli/. Negli U.S.A., su base volontaria, si è stimato che nel 2012 la metà dei macelli aveva installato una forma di videosorveglianza; di più in Locke, Sarina (2012, 29 Février) Cameras in abattoirs, ABC, http://www.abc.net.au/site-archive/rural/content/2012/s3442487.html.
  • 10
    Il dibattito apertosi sulla sopravvivenza dei controlli difensivi dopo la modifica dell’art. 4 St. Lav., a opera del d.lgs. 151/2015, ha avuto un punto di arresto con la pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con sentenza del 17 ottobre 2019, Rìbalda and others c. Spain – n. 1847/13 and 8567/13, non ha riscontrato alcuna violazione dell’art. 8 CEDU nel caso in cui il datore di lavoro, effettuando controlli occulti sull’operato dei lavoratori, rispetti il principio di proporzionalità. Si segnala come la Suprema Corte di Cassazione, da ultimo, ha pienamente riconosciuto la sopravvivenza dei controlli difensivi alle modifiche di cui supra, potendosi perciò ravvisare tali tipi di controlli al di fuori dell’art. 4, l.300/1970, ove siano rispettati determinate precauzioni e ove non diventi uno strumento per eludere la normativa statutaria; cfr. Cass., sez. lav., n. 34092/2021 e, in ambito penale, Cass., sez. 3, n. 3255/2021.
  • 11
    La violazione della previsione statutaria dell’art. 4 è punita con la sanzione ex art. 38, l.300/1970, il quale prescrive, al co. 1, che «Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma, lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire 100.000 a lire un milione o con l’arresto da 15 giorni ad un anno».
  • 12
    Da un sondaggio effettuato dall’Istituto Superiore di Sanità è emerso come il 94,2% dei partecipanti sarebbero disposti a pagare di più degli alimenti prodotti nel rispetto del benessere animale, essendo emerso come vi sia una correlazione tra quest’ultimo aspetto e la qualità percepita dai consumatori; si veda Pinto A., Crovato S., Mascarello G., Marcolin S., Rizzoli V., Bertocchi L., Ravarotto L., Il concetto di “benessere animale in allevamento” per i consumatori italiani: risultati di un’indagine nazionale (aprile/maggio 2019), in Boll Epidemiol. Naz 2020;1(2), pp. 9-14.
  • 13
    Si è stimato in Inghilterra come un sistema di videosorveglianza costerebbe dalle £ 150,00 alle £ 370,00 annui di mantenimento, mentre per l’installazione si oscilla dalle £ 700,00 alle £ 900,00; un costo sicuramente contenuto tenendo conto del tornaconto economico generato in termini di maggiori vendite legate al miglioramento della propria immagine sul mercato. Di più in Philip Case, Cost of slaughterhouse CCTV monitoring revealed, in fwi.co.uk, 2016; https://www.animalaid.org.uk/wp-content/uploads/2016/10/RotherhamReport.pdf
  • 14
    Sulla proposta di etichettatura le voci critiche delle associazioni sono state pressoché unanimi, in quanto riconosciute come corrette pratiche oramai desuete, che potrebbero essere agevolmente superate, che cagionano sofferenza e patimenti inutili agli animali; si veda Daria Vitale, Benessere animale: i consumatori chiedono più trasparenza, in ali.ong, 2022.
  • 15
    Di più in https://www2.deloitte.com/nl/nl/pages/consumer/solutions/ai4animals.html.
  • 16
    «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
  • 17
    «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali»

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