Uccisione di animali: il reato si configura anche in forma omissiva

La giurisprudenza è unanime: non impedire le morte di un animale di cui si ha la responsabilità equivale a cagionarla. Ecco perché.
Letizia D'Aronco

Letizia D'Aronco

Dottoressa in Giurisprudenza, da sempre interessata al tema della tutela giuridica degli animali, dell’ambiente e della biodiversità. Collabora con varie associazioni a tutela degli animali e dell’ambiente, locali e nazionali, e redige articoli sulla tematica animali e diritto.

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Non impedire le morte di un animale di cui si ha la responsabilità equivale a cagionarla.

di Letizia D’Aronco

L’articolo 544-bis del codice penale punisce con la reclusione1 chi, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale2; la norma, in particolare, si occupa di tutelare tanto la vita dell’animale quale valore a sé stante quanto il sentimento umano di pietà, amorevolezza e compassione verso gli esseri animali3, ed è stata introdotta al fine di colmare la lacuna normativa presente quando l’uccisione di esseri animali risultava punibile in forza degli artt. 638 c.p., rubricato “Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, e 727 c.p., “Abbandono di animali”4 . Prima della novella del 2004, infatti, non era prevista la sanzionabilità penale dell’uccisione di animali propri o privi di proprietario5 (salvo il caso in cui il decesso fosse derivato da maltrattamenti) con la conseguenza di lasciare impunite alcune condotte criminose.

La condotta punibile descritta dalla norma è focalizzata sul cagionare, dunque è rilevante ogni contegno umano, attivo od omissivo, che si possa considerare un antecedente necessario, dal punto di vista causale, al verificarsi dell’evento morte dell’essere animale; vi possono rientrare una serie indefinita di attività, dall’uccisione con i bocconi avvelenati, pratica purtroppo ad oggi ancora molto diffusa e non debellata, al privare i cuccioli della madre e quindi causarne la morte per inedia.

La giurisprudenza di merito si è espressa varie volte in senso positivo riguardo la configurabilità in forma omissiva della fattispecie criminosa in esame; sono riportabili molti casi che attestano questa linea di pensiero.

Il Tribunale di Treviso, con decreto penale del 2005, ha rilevato la sussistenza di tale fattispecie con riferimento ad un cane deceduto in quanto lasciato segregato in una stanza senza cibo né luce; ugualmente, con una sentenza risalente al 2009, si è pronunciato il Tribunale di Treviso-sez. dist. di Conegliano, con riferimento ai conigli di un allevamento, morti per inedia a seguito dell’abbandono, e il Tribunale di Roma nel 2008 con una pronuncia di condanna per il decesso di un gatto lasciato chiuso in casa durante le vacanze.

Allo stesso modo è da rilevare il decreto penale di condanna emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari di Busto Arsizio, nei confronti del proprietario di un cane che, nel luglio del 2007, aveva abbandonato l’animale nell’abitacolo della propria automobile parcheggiata presso il terminal dell’aeroporto di Milano Malpensa privo di acqua e cibo e con un solo finestrino abbassato di dieci centimetri. Dopo aver lasciato il cane nell’autovettura il soggetto si era recato all’estero, provocandone la morte, ancora più crudele a causa delle alte temperature estive.

In tutti questi casi è agevole rilevare una condotta omissiva in capo ai soggetti agenti, resosi dunque responsabili di reato omissivo improprio6 in quanto, essendo in posizione di garanzia ed avendo quindi l’obbligo giuridico di porre in essere una condotta ostativa al verificarsi dell’evento, non hanno impedito l’evento morte degli animali.

Su tale tema si è espressa la giurisprudenza di legittimità, anch’essa in modo positivo; in particolare, nel 2011, la Cassazione ha aderito a questo orientamento pronunciandosi al riguardo in occasione della disamina del caso di una donna che, «dopo aver investito accidentalmente un gatto nel corso di una manovra alla guida di un’autovettura Ford Mondeo, senza necessità e giustificazione alcuna, ometteva di prestare all’animale le dovute cure, impedendo altresì a (omissis) e (omissis) di accedere all’interno del cortile ove si era verificato l’evento al fine di recuperare il gatto e trasportarlo presso un veterinario, così cagionandone la morte che sopravveniva dopo due giorni di agonia».

Nel caso di specie, la Corte ha affermato che «la condotta attribuita all’imputata, concretatasi in particolare nell’aver impedito alle due (omissis) di accedere nel cortile per recuperare il gatto, con il suo conseguente abbandono dell’animale ad un’inevitabile morte, integra oggettivamente e soggettivamente, anche per quel che concerne il requisito della crudeltà, il fatto previsto e punito dall’art. 544 bis c.p.».

Concludendo, la giurisprudenza di merito e di legittimità sono concordi nel ritenere configurabile il delitto di uccisione di animali, c.d. animalicidio, tanto nella sua forma commissiva quanto in quella omissiva impropria, giungendo così ad una protezione più ampia della vita dell’animale e a considerare penalmente sanzionabili una varietà più ampia di contegni umani.


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In particolare da quattro mesi a due anni, così come novellato dall’art.3, comma 1, lett. a), della L. 4 novembre 2010, n. 201.

È un reato comune, a forma libera, d’evento ed è punibile a titolo di dolo.

3 Tale ipotesi delittuosa è considerabile, al pari delle altre tre contenute nel titolo IX bis del codice penale, un reato plurioffensivo (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 6317 del 27 settembre 2004) poiché è stata superata la concezione antropocentrica di protezione del solo sentimento umano a favore di un orientamento che riconosce, quale bene giuridico, anche l’animale in sé.

4 La nuova fattispecie dell’art. 544bis si distingue dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui ex art. 638 c.p. sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale (proprietà dell’animale, essendo un delitto contro il patrimonio), sia per la diversità dell’elemento soggettivo, giacché nell’art. 638 c.p. la consapevolezza dell’appartenenza dell’animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato (Cassazione penale sez. II 26 marzo 2010 n. 24734); per quanto concerne invece l’art. 727 esso disciplinava, prima della novella del 2004, il maltrattamento di animali come contravvenzione (mentre ad oggi è divenuto delitto ai sensi dell’art. 544ter c.p.) mentre ad oggi contempla esclusivamente l’abbandono di animali.

5 Altresì detti res nullius («cosa di nessuno»).

Detto anche commissivo mediante omissione; mediante il combinato disposto della clausola di equivalenza ex art. 40 c. 2 c.p. («Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.») e della fattispecie commissiva si convertono ipotesi di reato commissive in omissive, facendo nascere nuove fattispecie omissive improprie in cui l’evento che il soggetto ha l’obbligo di impedire è tipizzato dalla fattispecie commissiva, nei casi esaminati l’evento morte dell’animale.

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